#ijf3 – Il graphic journalism: immagini come cronaca del reale
Raccontare storie tramite immagini e parole: il graphic journalism è un medium che si sta diffondendo da qualche tempo nel panorama dell’informazione, soprattutto internazionale. In Italia non ha ancora veramente sfondato; al Festival Internazionale del Giornalismo non ha occupato una posizione di primo piano.
I giornali nazionali stanno iniziando a interessarsi a questo relativamente nuovo modo di fare informazione. Fumetti? Ebbene sì. Il Corriere della Sera promuove proprio in questo periodo una collana dedicata al graphic journalism. Anche alcuni fatti di cronaca, anche sui più prestigiosi quotidiani, vengono illustrati invece che descritti semplicemente a parole.
Il disegno può plasmare la realtà. Può trasfigurarla per renderla più comprensibile e immediata. Può permettersi codici e trasgressioni che il giornalismo tradizionale non conosce. Come nel romanzo Un fatto umano di Manfredi Giffone, Fabrizio Longo e Alessandro Parodi dove i giudici Falcone e Borsellino appaiono con le sembianze di un cane e di un gatto. Non è provocatorio, né dissacrante: dà invece un vertiginoso senso del vero. Allo stesso tempo scrivere un fumetto richiede un lavoro minuzioso di studio e raccolta puntigliosa di informazioni. Al punto che può diventare un canale per narrare vicende pericolose, dense, un modo di condurre inchieste scomode.
Di tutto questo si è parlato al panel discussion Mafia, ambiente e politica: quando il fumetto diventa cronaca del reale con Marco Rizzo, giornalista siciliano, Giuliano Pavone, scrittore e autore del graphic novel L’eroe deo due mari, Giuseppe Lo Bocchiaro, fumettista, Franceso Fasiolo de La Repubblica e Carlo Gubitosa.
Con quest’ultimo, direttore della rivista satirica Mamma!, giornalista, scrittore e orgogliosamente insegnante, abbiamo scambiato quattro chiacchiere al termine dell’incontro.
Inchiostro – in questo periodo si sente spesso parlare di crisi della carta stampata. Il fumetto può essere un’occasione di rinascita per l’editoria?
Carlo Gubbitosa – Non c’è veramente una crisi dell’editoria. C’è la crisi di un modello di editoria, il modello basato sui dinosauri, sui grossi gruppi editoriali. Oggi chi vuole fondare una rivista ha gli strumenti tecnologici più potenti della storia dell’umanità, e di fatto Mamma! paga la stampa e i francobolli con gli abbonamenti. Non gli stipendi purtroppo, investiamo ancora molto sul lavoro volontario. Una strada per chi lavora gratis – e ce ne sono tanti nel giornalismo – è quella di dire a se stessi: gratis per gratis lavoro per me. Fondo una testata per fare una scommessa su un prodotto giornalistico. C’è una forte crisi di un modello editoriale, quello delle grandi concentrazioni, di pochi grandi editori, ma ci sono opportunità come mai ce ne sono state finora. E il fumetto è anche una di queste.
Esiste un pregiudizio, in Italia, verso il raccontare storie drammatiche attraverso il fumetto?
Forse c’è un pregiudizio sul medium in sé, indipendentemente dal fatto che la storia sia più o meno importante. Il fumetto sta sempre più uscendo dal ghetto dell’arte minore e si sta affermando come medium autonomo in grado di raccontare anche storie di un certo spessore. Il problema non è rispetto a un canale particolare: c’è un problema generale di approccio alla lettura – e lo vedo tramite la mia finestra di insegnante precario. Personalmente, io che ho imparato delle lingue grazie al fumetto credo molto nel potenziale di cambiamento sociale di questo strumento, che magari può riuscire dove falliscono altri generi – il saggio classico etc…
Come il cinema, il fumetto parla in un linguaggio non facile da capire e da dominare, ma che ha la capacità di allargare il cerchio di chi ne fruisce e non di restringerlo, come possono fare ad esempio la saggistica o altri generi, penalizzati dal fatto che solo il 15% degli italiani è un lettore abituale.
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