Sapore di (regione) Sicilia
Mai come prima le elezioni regionali sono state prese così sottogamba dalla popolazione siciliana. Non siamo mai stati un popolo con una grande coscienza del diritto-dovere del voto ma, lasciando da parte le analisi antropologiche, i punti di analisi devono stavolta essere disparati.
Ad una settimana dalle urne manca la partecipazione popolare, e non parlo della fantomatica voglia di partecipazione che il popolo dovrebbe intrinsecamente avere alla vita pubblica tramite l’evento- voto, parlo del numero di galoppini catturavoti che, rispetto agli anni precedenti, scarseggiano vistosamente nei quartieri palermitani. D’accordo, i candidati più forti provengono adesso da altri lidi, ma anche Lombardo, Cuffaro, gli ultimi presidenti che hanno fatto smuovere le grandi macchine catturavoti nel nostro capoluogo non provenivano da Palermo. Probabilmente manca invece quel traino (anzi quella “traina”, figurativamente parlando…) con cui politicanti emergenti alla Antinoro fecero la fortuna dei governatori degli ultimi anni.
Più che laboratorio di preveggenza politica, come spesso viene definita in questi casi, la Sicilia sembra adesso rappresentazione di un moderatismo fattuale. Non è rimasta tanto la DC in quanto tale, quanto la mentalità che ci ha lasciato in dote dal dopoguerra fin’adesso e che difficilmente ci lascerà: in questo momento di mani legate si cerca di uscirne con vecchie facce, vecchi nomi, vecchie alleanze. Non è difficile immaginare che avverrà così anche alle politiche, a meno che una forte astensione a queste regionali faccia, di rimbalzo e nell’indecisione bipartisan, continuare un inutile e dannoso governo Monti fino a data da destinarsi (previa riorganizzazione delle fila).
Già, l’astensionismo. Arma dal taglio rivoluzionario e conservatore allo stesso tempo, comune proposito di ogni inizio di campagna elettorale da parte del siciliano medio di turno e mai promesso in toto (e qui ritorna il voto di scambio naturalmente). Come riuscire a trasformarlo in reale voto di protesta riuscendo a non banalizzarlo come traccia di retroflessione culturale? In che maniera lanciare una pietra pesante a chi si nasconde dietro palazzi blindati? Una matita non basta più, ma bisogna adesso giocare sul tempo, quel tempo che ha sempre, invece, a conti fatti, favorito chi ha riorganizzato a modo il suo torbido gioco, scegliendo spesso la Sicilia come avamposto di sistema.
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