la globalizzazione ci ha portato a questa crisi. Che fare?
-la globalizzazione ci ha portato a questa crisi. Che fare?-
di Paolo De Gregorio, 17 marzo 2012
Paolo Flores d’Arcais scrive sull’editoriale del 16 marzo su “il Fatto Quotidiano”: “dunque una o più liste di società civile le cui forme di sinergia con i partiti di centro-sinistra dipenderanno dalla legge elettorale”.
Qui evidentemente l’eterno intellettuale della “sinistra” parla del nulla assoluto.
Le liste di “società civile”, se si eccettua il Movimento 5 stelle (che peraltro vuole andare da solo), non esistono in forma organizzata, non c’è in giro un programma politico antagonista capace di coalizzare i mille rivoli di persone che non ne vogliono più sapere di tutti i partiti esistenti. Quanto alla legge elettorale, rimarrà la “porcata” o si farà una nuova legge che mantenga al potere PDL, PD e terzo polo.
Rimango allibito, ancor di più, sentendo un dirigente della sinistra alternativa che parla a vanvera di una possibile sinergia elettorale con il centro-sinistra di cui ancora non si conosce la composizione, e dunque non vi è un programma-manifesto al quale aderire, mentre la cosa più probabile è che il blocco di potere che oggi tiene in piedi il governo Monti (PDL, PD, terzo polo), prosegua questa esperienza anche nella prossima legislatura.
Perché invece di queste astrazioni filosofiche non ci si occupa di obiettivi possibili, unificanti, cercando di parlare a quel 96% del popolo italiano a cui tutti i partiti presenti oggi in Parlamento fanno schifo perché sono pieni di ladri, di ignoranti, di politicanti a vita gonfi di privilegi e subalterni al potere economico e finanziario?
La nostra crisi è in gran parte dovuta al non governo degli ultimi 30 anni, periodo in cui si è ottenuto il consenso politico dilapidando il denaro pubblico, accumulando un debito costosissimo in termini di interessi da pagare, e favorendo una evasione fiscale enorme che ha impedito di contare su risorse per economia,cultura, ricerca, ambiente.
Il nostro declino economico, etico, culturale, ha un responsabile: il non governo-politico, che ha lasciato tutte le decisioni che contano al liberismo, alla globalizzazione, alla finanza internazionale, alla Nato che ci ha coinvolto in costosissime avventure militari da cui non abbiamo tratto alcun vantaggio.
Dobbiamo cominciare, laicamente senza ideologie, ad occuparci di unificare tutti i movimenti antagonisti con obiettivi possibili, urgenti, di salute pubblica, poiché da tempo non viviamo più in democrazia e le decisioni le prendono i capitalisti, le banche, e noi cittadini non abbiamo più neppure il piacere di scegliere le persone da mandare in Parlamento.
La questione più urgente è riconoscere la natura della crisi e mettere un punto fermo:
è la globalizzazione con le sue logiche che ci ha buttato addosso la speculazione finanziaria dei sub-prime e dei derivati, gentilmente esportata dagli USA, la delocalizzazione di migliaia di imprese italiane in aree con manodopera a basso costo, la conquista da parte dei paesi emergenti (Cina, India, Brasile, ecc.) di interi settori di mercato che producono e vendono merci a costi con cui non è possibile competere e le enormi spese per interventi militari solo a vantaggio degli USA.
La globalizzazione conviene ed è stata già vinta da quei paesi che hanno grandi multinazionali, materie prime, manodopera a basso costo, potenza militare. Noi non possediamo nulla di questo e per noi, se non ci svincoliamo da questa trappola, vi è solo il declino.
Appare banale e velleitario il “mantra”, di governo e opposizione, che sanno solo ripetere che è necessaria la “crescita”, in una situazione di recessione strutturale sistemica, in cui è più facile che si perdano altri mercati piuttosto che conquistarne di nuovi. Tra l’altro non possiamo nemmeno parlare di ricerca e di settori avanzati, di nuovi materiali e nuova tecnologia, poiché sono ormai anni che si tagliano i fondi per la ricerca e i nostri migliori cervelli vanno a soccorrere economie vincenti.
Se continuiamo così, non affrontando il tema “uscita dalla globalizzazione, dall’euro e dal debito (quasi 2.000 miliardi di euro)”, secondo me non c’è futuro possibile. Appaiono sempre più ridicoli e fuori contesto i tentativi governativi e confindustriali di togliere diritti ai lavoratori con la complicità dei sindacati (Fiom esclusa) sostenendo che ciò ci porterà fuori dalla crisi.
Ecco cosa ci può portare verso uno sviluppo sostenibile, mettendo in campo una strategia in cui una buona politica sia in grado di governare con il sostegno dei cittadini:
-puntare ad un piano industriale moderno con l’obiettivo di rendere il nostro paese, che dipende dall’estero per l’80% dell’energia e il 60% dei prodotti alimentari, indipendente energeticamente e alimentarmene.
Oggi basterebbe una crisi petrolifera, per uno scontro negli stretti di Ormuz o per una interruzione sulla linea del gas russo, che in pochi giorni saremmo alla fame, al freddo e al buio.
Con un piano straordinario, trentennale, che preveda: il risparmio energetico e la solarizzazione di ogni capannone, ogni attività agricola, ogni tetto di case singole, progettando, costruendo, installando in Italia sistemi fotovoltaici, geotermici, solare termico, piccoli rotori eolici, e proteggendo questa attività industriale con divieti di importazione, è possibile creare milioni di posti di lavoro, forte riduzione dell’inquinamento e, abbinando il fotovoltaico alla produzione di idrogeno per autotrazione, è possibile pensare a un trasporto su gomma totalmente pulito.
Questa strategia richiede una forte mano pubblica che comprenda una nuova funzione della Banca d’Italia che deve diventare finanziatrice dei privati che si vogliono gettare sul terreno dell’autonomia energetica, e una iniziativa di Università ed istituti di ricerca per preparare ingegneri e strumenti all’avanguardia perché i margini per migliorare il rendimento di pannelli, rotori e captazione dell’idrogeno sono ancora molto alti.
In agricoltura, se si vuole arrivare all’autosufficienza nazionale, è ovvio pensare a centinaia di migliaia di persone che tornano nelle campagne, che però possono essere aiutate in questa scelta se viene incentivata una “fattoria solare” che trae una parte del suo reddito come produttrice di energia pulita. Energia con cui si cucina, ci si scalda, si alimentano elettrodomestici domestici, accanto alle normali produzioni agricole.
Niente a che fare con l’antica povertà ed isolamento delle campagne a cui fu preferita la schiavitù salariata della rivoluzione industriale.
Paolo De Gregorio
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