Tafazzeide
Roma, Piazza Sant’Anastasia, sede del Partito Democratico, martedì 5 luglio, ore 20.34.
Da sei ore è ormai in corso una riunione straordinaria del gotha del Pd a seguito delle sconvolgenti notizie provenienti dal fronte dei sondaggi.
Il segretario Bersani, il vice Franceschini, la presidente Rosy Bindi, D’Alema, Veltroni, Letta, La Torre, Finocchiaro, Chiamparino, Fassino e il resto della nomenklatura del principale partito dell’opposizione sono riuniti in una stanza nel disperato tentativo di salvare il salvabile con la promessa di sciogliere l’assemblea solo a pericolo scongiurato.
Nell’estenuante tentativo di scorgere una via d’uscita Bersani ha praticamente arrotolato le maniche fin sopra l’altezza delle scapole mostrando il giaguaro smacchiato sul bicipite sinistro; Veltroni ha scritto la bozza del suo prossimo romanzo su un pianista jazz tifoso della Juve, autore di una struggente colonna sonora di un film lettone sulla parabola esistenziale dei Kennedy e desideroso di mollare tutto per andarsene in Africa; D’Alema ha ricoperto il pavimento di origami a forma di barca a vela ricavati dai fogli scarabocchiati che mano a mano gli passava Veltroni.
Insomma, la tensione regna sovrana e lo spettro delle grandi responsabilità sembra incombere sul destino dei presenti.
Almeno fino a quando un’umile osservazione del cameriere, giunto a portare l’ennesimo vassoio di chinotti, suggerisce l’insperata scappatoia: «Signori, scusatemi ma questo è l’ultimo giro. L’ora si fa tarda e io dovrei anche tornare in provincia».
All’improvviso lo sguardo degli astanti, fino a quel momento basso e immalinconito sul nugolo di barchette di carta comparse ai loro piedi, si solleva all’insegna di un sorriso collettivo e di uno sguardo nuovamente speranzoso (tranne Veltroni concentrato nella revisione della trama del suo prossimo romanzo circa un tifoso dei Kennedy, autore di una struggente colonna sonora di un film africano sulla parabola esistenziale della Juve e desideroso di mollare tutto per andarsene in Lettonia).
Ai nostri non resta che recitare all’unisono l’agognata illuminazione: «Le province, certo! Basterà negare in Parlamento il voto decisivo per la loro soppressione e torneremo magicamente indietro nei sondaggi! Addio maggioranza relativa dei voti e addio vittoria elettorale alle porte! Lo spauracchio della guida del Paese anche per questa volta è stato esorcizzato! Cameriere: chinotto per tutti che stasera a casa l’accompagniamo noi!»
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