Caro "Manifesto", discutiamo la linea editoriale?
Sarò breve:
Sul Manifesto di venerdì 12 Raffaele K. Salinari rivolge un appello agli "artisti" in sostegno dell'ennesima questua per il giornale. Mi chiama quindi in qualche maniera in causa e non voglio negargli una risposta.
Prima che artista mi considero un militante comunista. Leggo il Manifesto da quando avevo i calzoni corti, ne sono stato sostenitore, sottoscrittore, poi azionista e infine lavoro per la Manifesto CD da quando praticamente è nata. Michela Gesualdo sa quante volte ho lasciato al giornale congrue sottoscrizioni ricavate dalle mie royalties.
Disgraziatamente per R.K.S., però, oltre che suonare il sassofono ogni giorno compro il vostro/nostro quotidiano, congiuntamente ad una dose massiccia di Malox. Si, perché leggerlo mi procura ormai fortissimi bruciori di stomaco. Qualche esempio? Che so, la campagna per la guerrafondaia e iperliberista nonché filoisraeliana Bonino. O il sabato, quando mi rendete edotto su tutto quello che succede a Locarno riguardo l'ultimo interessantissimo fumetto Manga a sfondo porno. Oppure quando la Rangeri sostiene militantemente una trasmissione prodotta da Endemol dove un tizio che ha appena finito di dire che ammira Almirante, che Chavez è un farabutto e che Israele è un faro di civiltà, ci viene a raccontare che nel sud preferiamo lavarci raramente per non essere scambiati per gay, indi poscia si avvolge nel tricolore e mi decanta la bellezza della parola PATRIA. Oppure quando nella stessa pagina un articolista scrive che Cameron è peggio della Tatcher, mentre di fianco nella stessa pagina un altro ne esalta le qualità "pacifiste" perché taglia la spesa militare.
Insomma questo giornale non solo non è più "quotidiano comunista" da tempo, ma non ha più nemmeno una linea editoriale e se si perdono 30.000 lettori per strada (tra l'atro in un momento di forte tensione sociale come questo) qualcosa vorrà dire. In primo luogo vuole dire che stavolta se volete il mio sostegno, la attuale direzione responsabilmente si fa da parte e dà inizio ad un dibattito serio su cosa deve essere e a cosa deve servire un "quotidiano comunista" nel 2010.
La crisi del Manifesto non è economica, è politica. E politicamente va trattata. Non è Tremonti che vi sta uccidendo, siete voi che vi state suicidando.
Fateci sapere, a noi lettori tutti, se ne avete voglia di discuterne o se pensate che sia ancora necessario che un operaio o un insegnante vi spedisca i suoi sudatissimi soldi per tenerlo informato di quali sono i gusti letterari di Tarantino o che tipo di cocktail va forte a Nagasaki quest'estate.
Con affetto, ma come si dice a Napoli "qua la pezza qua il sapone".
Daniele Sepe
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