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Accanimento terapeutico su un giornale nato negli anni '70, esploso negli '80 e fermo ai '90

Colletta per il "Manifesto": salvate i panda del giornalismo

Il quotidiano comunista ripropone ai nostalgici il ricatto affettivo di sempre: "abbonatevi o chiudiamo". Dopo anni di sottoscrizioni, forse il problema è la capacità di rinnovarsi del giornale, e non la disponibilità di spesa dei suoi lettori.
9 ottobre 2010 - Ulisse Acquaviva

Vignetta di Vauro ritoccata da Mamma!

Puntuale come le foglie d'autunno, arriva la nuova campagna abbonamenti del "Manifesto". Nei miei ricordi di gioventù pre-euro c'è un numero straordinario venduto a cinquantamilalire per fare la colletta, ma di questi tempi chi si può permettere cinquanta euro per un giornale? E allora ci si affida al povero Vauro come ancora di salvezza, affidando alle sue matite un potere di marketing persuasione occulta che nemmeno il pifferaio di Hamelin al comando di Publitalia potrebbe avere di questi tempi.

Uno potrebbe anche starci a fare l'ennesimo sforzo economico per tenere in piedi qualcosa che non sta in piedi vendendo giornali, ma anche vendendo identità, senso di appartenenza alla sinistra, valori e cultura, un pò come fa il WWF che non vende solo tesserine ma anche l'appartenenza alla comunità di quelli che fanno qualcosa per salvare il pianeta fino a quando ci saranno almeno due panda superstiti da far accoppiare.

Uno potrebbe anche starci, ma a due condizioni: mi date delle quote della cooperativa, e mi date voce in capitolo attraverso il web per decidere il piano editoriale, così vediamo se il problema sono i sottoscrittori che sono avari o una redazione trasformata dall'abitudine in cricca giornalistica che diventa sempre più impermeabile ai contributi esterni, sempre più arroccata sulle proprie posizioni, sempre meno capace di rinnovarsi.

E' quello che ha detto in altri termini lo stesso Gabriele Polo nell'editoriale con cui ha lanciato la nuova campagna abbonamenti: "Se il giornale «perde copie» e appare meno utile di un tempo è perché il nostro «media» funziona male e il nostro mestiere ha perso in vivacità e curiosità; perché siamo diventati politicamente pigri, rischiando il conformismo".

Benissimo, allora togliamo di mezzo la pigrizia politica e il confornismo, altrimenti se il mio ruolo è solo quello di metterci dei soldi, che giornalismo è quello che deve fare la questua periodica (pur avendo percepito ingenti contributi pubblici) perché non è capace di stare a galla con un prodotto vendibile a causa della sua stessa pigrizia?

E allora, se non mi sarannno garantite quote della cooperativa e il conseguente diritto di voto in assemblea per decidere che rotta dare al giornale, i soldi che potrò dare all'editoria libera li investirò sulla rivista Mamma! che ho contribuito a fondare.

A differenza del Manifesto, qui su Mamma! oltre a non avere mai preso nemmeno un centesimo dallo Stato, abbiamo abolito la pubblicità dal piano editoriale, mentre ricordo benissimo gli annunci di Finmeccanica sul Manifesto a tutta pagina con la donna pilota che sorrideva dalla carlinga del bombardiere, e i successivi editoriali dove si spiegava che i soldi non puzzano.

In più, se proprio dobbiamo vedere chi sta messo peggio, le piccole riviste su abbonamento sono più inguaiate dei quotidiani, perché oltre a non avere avuto mai nessun tipo di finanziamenti, ci hanno anche abolito le tariffe di spedizione agevolate, e ora i costi delle spedizioni su abbonamento stanno strangolando migliaia di piccole testate, che messe insieme costituiscono un patrimonio di biodiversità culturale prezioso almeno quanto quello rappresentato dal Manifesto, ma abbandonato al proprio destino dal silenzio che circonda questo "bavaglio invisibile". Per Mamma!, ad esempio, i costi di spedizione agli abbonati attualmente sono SUPERIORI AI COSTI DI STAMPA.

Va detto per amor di verità che il Manifesto rischia davvero grosso perché non ci sono più soldi pubblici per sostenere l'editoria cooperativa, forse l'unica forma di stampa quotidiana che merita davvero l'appoggio dello Stato a differenza del giornaletto color salmone di Confindustria che predica il libero mercato da un pulpito assistenzialista.

Ma allora perché oltre a chiederci di rompere il Salvadanaio non andiamo a cercare dove sono finiti quei soldi strappati al "Quotidiano comunista"? Forse perché scopriremmo che sono andati a finire nei bilanci della Mondadori, che si è tenuta in tasca centinaia di milioni di euro di tasse non versate pagando a prezzo di saldo una penale sanatoria del 5 per cento? E ci farebbe ancora meno piacere scoprire che il tutto accadeva mentre la sinistra al caviale guidata dalle trombe dei Wu Ming è partita in carica contro ogni proposta di boicottaggio alla Mondadori, dicendo che non c'è nulla di male a pubblicare con questa casa editrice, e che loro scrivono per cambiare dall'interno le aziende del nemico.

La butto lì: e se ce ne andassimo tutti affanculo mettendoci sul mercato? Io la soluzione ce l'ho: mettiamo una casellina nella dichiarazione dei redditi per decidere a quale iniziativa editoriale destinare i soldi delle nostre tasse (circa un miliardo di euro all'anno) senza lasciare che siano i partiti e i governi a decidere che il giornale di confindustria può predicare la religione del "libero" mercato dall'alto di un altare di finanziamenti pubblici statalisti e assistenzialisti.

E poi una volta sul mercato, vediamo quanta gente mette nel 740 il codice fiscale della nostra associazione culturale che pubblica Mamma!, quanti mettono il codice della cooperativa del Manifesto, e quanti il codice di Confindustria per pagare il loro giornaletto color salmone. C'è chi su questa idea ci ha lanciato anche una campagna, rimasta lettera morta perché al giorno d'oggi su questa questione la sinistra è divisa tra il populismo di chi vuole abolire del tutto i finanziamenti, e di chi tace perché gli sta bene che decidano i soliti noti.

E allora ditemi voi se al giorno d'oggi ha ancora senso l'accanimento terapeutico sul manifesto con 500 euro a testa di cure palliative sotto forma di abbonamento, che non saranno comunque sufficienti a evitare l'inevitabile.

Se poi invece siete tra quelli che la crisi l'hanno vista dalle vetrate dell'attico sorseggiando champagne nella jacuzzi fumante, allora abbonatevi con quota sostenitore a qualsiasi cosa vi capiti a tiro. Ce lo dovete per tutti i soldi che vi siete mangiati grazie al capo della Mondadori.

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