tra i due litiganti:Berlusconi gode
Luca Telese su “il Fatto Quotidiano” del 31 agosto, pubblica uno “sterminato” articolo sugli eterni duellanti del PD, Veltroni e D’Alema, una storia che dura da 20 anni, ma Telese resta nel cronachistico, senza andare al cuore della vicenda.
La prima cosa che si deve ricavare dal fatto che questi due anziani signori, che ricorrono ad interviste su giornali industriali per mostrare le loro abissali differenze di opinioni e di strategia politica, è che essi vivono in un partito che non esiste ed ha una linea politica così generica in cui ci può stare tutto e il contrario di tutto.
Infatti, il compito di un partito politico è quello di discutere apertamente di qualsiasi questione, raggiungere una ragionevole mediazione, e la posizione uscita dal dibattito deve essere adottata da tutti, e resa riconoscibile presso gli iscritti e gli elettori.
Senza questo metodo rigoroso si formano le correnti (il PD è spaccato almeno in 3), l’azione del partito è ingessata da veti incrociati e i consensi elettorali si perdono progressivamente.
Se questo è vero e assodato, il problema è suggerire la cura, senza timidezze e senza temere di essere velleitari. Se le medicine sono amare, ma efficaci, bisogna prescriverle e farle conoscere. Le medicine sono le nuove regole che ogni partito che si professa democratico dovrebbe avere nel suo Statuto.
La prima regola, inflessibile, deve essere quella che nessuna carica, da quella di segretario di sezione fino al segretario del partito, deve durare più di due mandati, così per tutte le cariche elettive, da consigliere comunale a sindaco, per arrivare ai parlamentari che, tassativamente, devono essere ineleggibili dopo due legislature.
Con questa semplice regola il fenomeno ventennale di due galletti che bloccano un partito per affermare la loro “leadership” sarebbe finito già da 10 anni.
L’altra regola, senza la quale nessun partito si può definire democratico, è quella delle elezioni primarie, con una distinzione: aperte solo agli iscritti per le cariche interne al partito, aperte a tutti gli elettori per candidati sindaci, governatori regionali, e parlamentari. Si supera così l’attuale immonda legge elettorale che non dà la possibilità di esprimere preferenze.
Se dal territorio emergono figure di valore sociale riconosciute dalla cittadinanza, anche se non hanno militato in un partito con le primarie possono essere imposte e creare così un contatto permanente tra base e vertice.
La strada maestra per un partito progressista è in queste regole, e la vita politica di una persona che passa attraverso due possibili mandati di sindaco e due di parlamentare, è di circa 20 anni, sufficientemente lunga per chiunque.
Persino nelle gerarchie ecclesiastiche e militari vi è la regola, non scritta, di frequenti avvicendamenti nella catena di comando. Le cricche si formano ovunque se si rimane troppo ad esercitare il potere, qualunque esso sia, e la politica ha bisogno di questa cultura per uscire dalla dittatura dei politicanti a vita e lasciare posto ai giovani, ad un ricambio costante, a nuove idee capaci di fronteggiare la crisi della nostra economia, la crisi di valori, la crisi ambientale.
I lunghi, lunghissimi 16 anni di egemonia berlusconiana nella politica italiana, sono anche frutto di una opposizione divisa e insufficiente, in cui i nostri eroi D’Alema e Veltroni si sono distinti, rispettivamente nel 1998 e nel 2008, in operazioni che hanno fatto fallire i governi di Prodi, mossi solo da uno sfrenato desiderio di potere personale, legittimando un Berlusconi in crisi, senza fare e proporre nulla che risolvesse il “conflitto di interessi”.
Paolo De Gregorio
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