Metti una sera a cena
Si chiamava Franco, ma da qualche tempo si faceva chiamare da tutti Renato. Sì: Renato il pensionato, perché oltre ad esercitare il mestiere di nullafacente, da quando aveva visto Brunetta in televisione soffriva di una specie di complesso di superiorità. Mi spiego: lui era alto uno e sessantacinque e, di fronte al vero Renato, si sentiva un autentico gigante, tanto che avrebbe potuto guardarlo dall’alto in basso, era, per così dire, diversamente alto. Ieri la serata era cominciata veramente male. Aveva sentito il minzogiornale e le solite dichiarazioni del ministro di turno, che aveva assicurato: “Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani!” Al che, ad alta voce, aveva risposto: “Fa’ pure: nelle mie ci trovi cacchio!” Poi si era preparato per la cena di beneficenza cui era stato invitato. Aveva indossato il vestito buono con cravatta azzurra e camicia celestina. All’ingresso del ristorante, con sua moglie, si era rimirato in uno specchio: sembrava proprio un azzurro (di Forza Italia) della prima ora. Anche la sua pancetta appena pronunciata e di cui era dotato, era sparita, forse a causa dello specchio, oblungo. Seduti al tavolo assegnato, (finemente imbandito e di forma circolare; insieme a lui e alla moglie c’erano altre sei persone) Renato subito notò che non c’erano gli aperitivi. “Poco male” – pensò -“visto che a pranzo ho mangiato solo la frutta, il mio stomaco è già ampiamente predisposto!”. Subito dopo fu servito l’antipasto. Due microscopiche cose: uno sformato di patate (letteralmente sformato, infatti, non si vedeva la forma) e un pasticcio di lasagne (veramente pasticcio) la cui estensione complessiva si poteva valutare in dieci centimetri quadri. Il tutto era sormontato da una sottile salsina verde, passatavi sopra a forma di croce. “Vabbhè!” – pensò Renato – “Mi rifarò con i primi!” I primi, anzi il primo, consisteva in un piatto formato da gnocchetti sardi (Renato non li contò, ma gli gnocchetti erano in numero inferiore alle province sarde) conditi con una salsa composta da panna, funghi e pancetta. Non si capiva come il cuoco avesse potuto fondere e amalgamare tutti gli ingredienti in un piatto così piccolo. Per fortuna la cena era innaffiabile da un discreto Montepulciano d’Abruzzo e Renato provvide a degustare alcuni calici di vino, anche se la moglie (il cui vero nome era Emma, ma si faceva chiamare Claudia, dato che, in gioventù aveva una vaga somiglianza con la Cardinale) sgomitava a bassa voce: “Non bere! Tutto questo vino ti fa male! E poi mi fai fare certe figure!” Ma lui pensò alla frase che leggeva ogni volta che andava a fare rifornimento alla cantina sociale: “Il cibo fa bene al corpo, ma il vino fa bene all’anima.” Giunse il secondo che consisteva in uno spezzatino di maiale con salsa e pinoli. Fortuna che le porzioni erano talmente minuscole che non si sentiva il sapore, altrimenti il gusto, anzi il disgusto, sarebbe stato notevole. Infine, dopo i discorsi di rito che in queste occasioni non mancano mai, portarono il dolce (o dessert che dir si voglia) che era formato da una specie di tronco di cono, il cui diametro di base e la cui altezza non superavano i tre centimetri. Renato lo guardò e pensò: “Così piccolo e già frequenta certi locali!”. Trattavasi di crème caramel cosparsa da sciroppo di more, ugualmente messo a croce come l’antipasto. Renato pensò: ”Abbiamo iniziato con una croce e finiamo con un’altra croce.” All’uscita si rimirò al solito specchio e, forse a causa del vino, gli sembrò di vedere uno zompi. Alla fine della serata, tornarono a casa e Renato ordinò alla moglie: “Oh, Claudia in sedicesimo, ho fame: preparami un bello spaghetto aglio, olio e peperoncino!”
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