Anemone e la spedizione dei mille
E fu così che la spedizione dei mille partì: dallo Zen di Palermo. Tutti in treno, senza biglietti, gli ex occupanti delle case popolari si diressero a Roma. Per richiedere una grazia che poi era la grazia. Materassi arrotolati e bloccati da funi, scatole con provviste di sale zucchero e caffè, grucce con i vestiti appesi un po’ ovunque: i vagoni colmi di ogni sorta tenevano a stento le persone piegate, distese, accartocciate in ogni angolo. Ma nonostante questo i bambini ridevano, le madri gridavano, gli uomini giocavano a briscola negli spazi esigui. Mai abbandono dei luoghi nativi fu esperienza più entusiasmante. Perché la vita cambiava. In meglio: non più retate della polizia, notifiche di sfratto, ingiurie dai legittimi assegnatari degli appartamenti. Il cuore viaggiava sereno, senza più quel fastidioso sospetto di doversi difendere in ogni dove. Perché… perché… perché adesso c’era Anemone. Che elargiva, a mani spiegate, assegni circolari, case di lusso con vista Colosseo (per gli amanti dell’arte) o con vista Tevere (per giovani sposini ancora pucci-pucci-amore-mio). Nei portafogli dei viaggiatori più anziani, facevano già capolino santini con il suo mezzo busto. Mentre nelle tasche dei bambini, le lettere a Diego Natale attendevano solo di essere imbucate. Il treno andava lento ma i loro sogni veloci e forse erano pure giunti a destinazione. Con l’immensa speranza che il solito sorcio-in-bocca non si infilasse di traverso. Rovinando la festa.
Se vuoi sostenere questo sito, Richiedi uno dei nostri libri e combatti con noi il degrado culturale.
Commenti
Inserisci il tuo commento