"Italians" contro "Zingarins" 2 a 0
Dopo essersi coperto di ridicolo sul sito "Giornalisti contro il razzismo" svelando gravi lacune in matematica applicata, Beppe Severgnini torna alla carica contro "gli zingari", e stavolta il debito formativo è in italiano e storia.
"Veniamo agli zingari" - scrive Beppe nella sua rubrica "Italians" su Corriere.it - "Hanno molto sofferto, ma questo non giustifica alcune loro abitudini, incompatibili con la società occidentale - dove la proprietà privata, per esempio, è tutetalata. Lo stesso vale per lo sfruttamento dei minori, spesso indirizzati verso l'accattonaggio. Non tutti gli zingari, non sempre, non dovunque: ma il problema esiste, è grosso, e negarlo è ipocrita. Lo sanno bene anche in Romania, dove le tensioni tra la comunità rom e le altre sono gravi e continue. Per gli stessi motivi. Scrivere questo fa di me un razzista? Spero che nessuno dica un'ìdiozia del genere".
Speri male, caro Beppe, e ora ti spiego perché saresti da bocciare se fossi ancora alle superiori:
Il primo due te lo becchi in storia. Dovresti sapere che certe "abitudini" non sono legate alla "razza" ma alla povertà. Basta leggere quello che scrivevano negli Stati Uniti: "si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. (...) Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti".
In questo testo non si parlava degli "zingari", ma dei nostri nonni, che nella "Relazione dell'Ispettorato per l'immigrazione del Congresso Americano sugli immigrati italiani" stilata nel 1912 erano associati alle stesse "abitudini incompatibili con la società occidentale" che tu oggi attribuisci ad altre persone in quanto "zingari" e non in quanto poveri.
Il secondo debito formativo ce l'hai in italiano, perché usi scorrettamente la parola "zingari", un termine ormai respinto da rom e sinti per la connotazione sempre più negativa che ha assunto nel corso degli anni, con effetti distorsivi e discriminatori. Che ne diresti se qualcuno ti chiamasse "pummarola" anziché "italiano"? Se l'etichetta ti dà fastidio, impara anche tu a rispettare le popolazioni rom e sinti con lo stesso rispetto che richiedi quando si parla di te.
Ma torniamo alla tua domanda: scrivere bestialità fa di te un razzista? Forse sì, visto che sul vocabolario è razzista colui che mostra la "tendenza a considerare una razza umana come superiore alle altre", ad esempio dando per scontato che gli italiani gettati in miseria sarebbero più dignitosi dei rom e dei sinti, tratterebbero meglio i loro figli e rispetterebbero di più la proprietà altrui, cosa peraltro smentita dall'evidenza dei dati storici.
Ciò nonostante ti diamo ragione: nel tuo caso l'espressione "razzista" è inappropriata. Ti rivestirebbe di una profondità di pensiero decisamente estranea al livello culturale che hai dimostrato.
E quindi se ci chiedi "scrivere questo fa di me un razzista?" rispondiamo di no: dimostra solo che sei un ignorante. Ma fossi in te non starei tranquillo, perché le teorie del Cipolla parlano chiaro: lo stupido è più pericoloso del bandito.
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