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Mio nonno emigrante, mio padre pure: e adesso il sud si scopre improvvisamente razzista?

I figli di Annibale abbandonati dalle istituzioni

Hanno ragione gli abitanti di Rosarno a ribadire che non ci stanno a essere definiti razzisti. Se anche la terra degli emigranti cede al razzismo, allora il sacrificio dei nostri nonni e dei nostri padri non è valso a niente.
13 gennaio 2010 - Pier Katana (Iamatologo<script type=)

Ricordo i racconti di mio nonno emigrato per sei anni in Svizzera. Mio nonno per me era un mito, e le sue storie mi facevano vivere in epoche appartenute a questa Italia che dimentica. Epoche dove la solidarietà era spontanea e, anche se la vita era come sempre amara, con poche cose si poteva essere comunque felici.
Mio nonno, emigrato in Svizzera per necessità con sua moglie e i suoi due figli, aveva nostalgia dell’Italia, una nazione dove per poter vivere la gente già emigrava verso città più industrializzate, alle volte distanti solo 150 chilometri dal posto dove si era nati e solo per questo, nel loro paese di origine, venivano etichettati come “forestieri” e la città che li ospitava veniva appellata “terra straniera”.
La nostalgia per la propria terra lo portò a prendere la decisione di tornare in Italia, lasciò un lavoro sicuro per un futuro incerto, un futuro che si costruì con la forza delle proprie mani e che fu gratificato con l’assegnazione della Stella al merito del lavoro. Sempre da emigrante lontano “150 chilometri” dal suo paese di origine.

Ricordo mio padre e la sua onestà. Da giovane partì anche lui alla ricerca di un’occupazione nel settentrione, in Piemonte. Mi raccontava dell’impedimento dovuto dall’essere “terrone” nel trovare un posto dove alloggiare e delle scritte “non si affitta ai meridionali e ai veneti”. L’assurdità di quella scritta, non solo per il triste significato razzista, era che anche i nordici veneti erano considerati alla stessa stregua dei meridionali. Definiti “terroni del nord” sono stati tra i primi emigranti italiani a imbarcarsi oltre oceano per cercare la tanto agognata fortuna.
L’ironia volle che anni dopo, mentre si era in vacanza in una località montana della Lombardia (ebbene si, anche gli antartici amano i monti, e io li amo più del mare) un vigile urbano molto cortese e sicuramente di spiccata intelligenza, al passaggio della nostra utilitaria di famiglia con targa meridionale esclamò con tono offensivo “sbrigati terrone!!!”. Al che mio padre, con panico di mia madre e meraviglia dei nostri parenti che ci seguivano a bordo di un'altra automobile "terrona", fermò la macchina e si recò dal cortese tutore dell’ordine e presentandosi con modi gentili, volle informarsi su quale fosse il suo nome e cognome e sul perché di quella frase offensiva. Per non tirarla alla lunga il cortese vigile era veneto. Anche lui terrone, ma “terrone del nord” però!!!

L’Italia, come dicevo, è un paese che dimentica. La sua memoria corta è imbarazzante, soprattutto quando si viene presi per i fondelli da chi camuffa la storia per le proprie opportunistiche voglie.

In questi giorni non ho capito il perché dei fatti di Rosarno. Ho visto violenza, solo questo, e come sempre non ho visto lo Stato. Perché il sud lo Stato preferisce tenerlo in una condizione di abbandono perenne che genera sconforto e fa sentire sconfitti. E il dolore è più facile da controllare perché plasma illusioni che procurano voti e quindi potere per i burattinai in doppio petto e i loro compari, tra i quali alle volte, accidentalmente, quasi per caso (il caso è frequente in Italia), ci capita qualche mafioso. Cosa bisogna pensare quando nel corteo che ha attraversato Rosarno, dove chi partecipava si faceva portavoce della cittadinanza tutta protestando verso chi li etichetta razzisti, è stato vietato dal “Comitato Spontaneo” ad alcuni scolari di esporre uno striscione che riportava la scritta “Speriamo poter dire c’era una volta la mafia”? Speranze costantemente uccise. Sconfitti in perpetuo.

A Rosarno ho visto la trasposizione italiana del film “La calda notte dell’ispettore Tibbs” del 1969, con Sidney Poitier e Rod Steiger, ambientato nel profondo Sud degli Stati Uniti. Solo che il sud razzista rappresentato in quella pellicola non è il nostro sud, non può e non deve esserlo. Hanno ragione gli abitanti di Rosarno a ribadire che non ci stanno a essere definiti razzisti. Perché se anche una regione come la Calabria, che ha visto e continua a vedere i propri abitanti emigrare, non accetta a sua volta chi cerca una speranza per la propria esistenza, e per l’esistenza delle persone di cui ha la responsabilità di far sopravvivere, allora il sacrificio dei nostri nonni e dei nostri padri non è valso a niente.

Gli abitanti di Rosarno sono delle vittime come gli emigranti “negri”, clandestini e non, coinvolti nella caccia all’uomo per le strade del paese, perché abbandonati dalle istituzioni incapaci di legiferare correttamente (leggere onestamente) e non per puro spirito di propaganda. Il ridicolo si rasenta e si supera con le solite puerili e ipocrite dichiarazioni dei politicastri che ci tengono a precisare che la colpa è delle passate amministrazioni. Neanche a scuola dei miei figli vedo tanto infantilismo. Anzi, bisognerebbe osservare e imparare la condivisione pacifica e quotidiana dei bambini. Italiani e non insieme, nel grande gioco della vita. Casomai tra qualche hanno per colpa nostra e della società ignorante in cui viviamo inizieranno a odiarsi. Ma sarà sempre colpa di chi deve educare e non di chi deve imparare.

A Rosarno, al sud e al nord dedico queste frasi prese dal testo di “Figli di Annibale” una canzone degli Almamegretta:

“Annibale grande generale nero attraversasti le alpi e ne uscisti tutto intero…Annibale sconfisse i romani e restò in Italia da padrone per quindici o vent’anni ecco perché molti italiani hanno la pelle scura ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri ecco perché molti italiani hanno gli occhi scuri un po’ di sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue che ti scorre nelle vene…”

Gli uomini moderni appartengono alla specie Homo Sapiens di origine africana.

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