L'Aquila - Gli invisibili che non parlano
Lontano dalle C.A.S.E., c'è un palazzo chiuso e disabitato, con le crepe ben in vista e un po' di macerie e calcinacci in terra. Ospitava case d'abitazione e un negozio. Sulla vetrata del negozio, rigorosamente chiusa, c'è un cartello: "Si riapre a fianco".
A fianco c'è un container. La proprietaria arriva mentre sto facendo alcune riprese e mi chiede se per caso sono un tecnico e se mi sto occupando di un qualche sondaggio per accelerare le pratiche. Le rispondo con desolazione che, no, sto facendo un documentario. E' visibilmente delusa. A quel punto sono io che le chiedo qualcosa, ma non vuole raccontare la sua storia davanti alla telecamera. E così, a telecamera spenta, vengo a sapere quello che sospettavo già: la signora fa parte di quelli che attendono.
E provvisoriamente si è arrangiata come può, col magazzino andato distrutto, casa e negozio inagibile. I suoi fornitori, da fuori, le chiedono come mai non si faccia vedere, visto che ormai all'Aquila è tutto a posto. Già. E lei non vuole parlare davanti alla telecamera, perché non si sa mai, perché ha un'attività commerciale, perché aspetta, perché. Anche se non me lo dice, lo so bene perché. Perché ha paura che possa ritardare ancora la sua nuova sistemazione provvisoria. La signora è una degli "invisibili".
Quanti sono? Non si sa, non esistono stime ufficiali: possiamo ipotizzare qualche migliaio, ma è un dato non confermabile. Il che contribuisce a far passare questa storia non raccontata come una marginalità. E il silenzio degli invisibili - che davvero non si può biasimare - non è altro che un altro tassello, un altro punto in più per tutti coloro che gestiscono l'informazione fuori da qui, un altro punto in più per quelli che pensano che all'Aquila vada tutto bene.
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