Sofri e la nonviolenza a corrente alternata
Un mio amico del Movimento Nonviolento mi segnala un articolo di Adriano Sofri su Repubblica.it. Sono obiettore e quindi non compro Repubblica, quindi non so se e' andato anche in edicola. Si tratta della trascrizione di un dibattito su facebook, piu' simile alla chiacchiera che a una fonte giornalistica, il succo delle risposte date da Sofri ai suoi interlocutori e' che se vuoi essere onestamente contro la violenza non puoi puntare il dito contro violenze piu' grandi di quelle che occupano le prime pagine dei giornali. Unisciti al coro o stai zitto. E poi un elenco di cose da fare, un bel dettatino morale che ci risparmia la fatica di avere una coscienza e ce ne fornisce una gia' pronta: "1. Solidarizzare con B. che ha subito un'aggressione. 2. Avere pena dell'aggressore" e l'elenco prosegue.
Ma c'e' qualcosa che non quadra... cheppercaso questo e' lo stesso Sofri che dopo le torri gemelle giustificava la vendetta degli Usa e i bombardamenti sull'Afghanistan? E con che autorita' morale proibisce alla gente di provare non dico soddisfazione, ma neppure indifferenza verso una lieve ferita di un uomo che ha appoggiato la strage legata a questa assurda campagna militare? Perche' sofri ci ordina di avere solidarieta' immediata con un aggredito solo quando questo aggredito e' il capo di governo? Si diventa automaticamente fomentatori di violenza pensando che la solidarieta' piu' urgente e quindi piu' immediata da dare sia quella verso le persone che stanotte o domattina rischiano di morire affogate nell'adriatico, avvelenate in Iraq o dilaniate in Afghanistan?
Ricordo come se fosse ieri un articolo di Sofri del 2002 a favore dei bombardamenti sull'Afghanistan, pieno allora come ora della retorica del pensiero dominante e perbenista: solo che in questo caso non si ordinava ai lettori di solidarizzare con le vittime di quei bombardamenti, ma semplicemente di accettarli come inevitabile soluzione al male supremo dei talebani.
E allora perche' non accettare una statuetta in faccia come l'inevitabile "effetto collaterale" della discesa in campo di un imprenditore e della sua conseguente notorieta'? Con quale miracolosa pastiglia effervescente Sofri ci chiede di digerire le migliaia di afghani morti sotto le bombe come il "male minore" da mettere in conto per portare la pace e al tempo stesso rifiuta l'idea che nella vita di un primo ministro si debba mettere in conto anche un attentato (o piu' realisticamente una aggressione) di questo tipo?
Tralasciando i suoi trascorsi lottacontinuisti che sarebbero un bersaglio troppo facile e sono stati perdonati perfino a Liguori, non possiamo evitare il confronto tra l'acceso ripudio della violenza contro il capo e l'apologia di strage fatta quando le armi in gioco erano proiettili di uranio e non souvenir di gesso.
Questo e' quello che scriveva Sofri il 15 ottobre 2002 su Repubblica in un articolo intitolato "Cari pacifisti, anche le armi possono fermare i massacri":
"si può fare obiezione a qualunque decisione che, anche col proposito di salvare vite umane in numero ingente, sacrifichi la vita di innocenti, fosse pure un solo innocente. Questa obiezione di coscienza può segnare insuperabilmente il convincimento morale di un singolo individuo. Non quello di un responsabile pubblico, un militare o uno statista. Un responsabile pubblico misura relativamente la sua morale, che, per essere relativa, non è meno rigorosa. Non si illude di escludere in assoluto il sacrificio di vittime innocenti, ma vuole ridurne al minimo il rischio".
Quindi caro Sofri, mettiti d'accordo con te stesso e tira le somme di quanto hai scritto a suo tempo quando il sangue in gioco era afghano e non sangue nobile di premier. Se e' vero quello che dici, allora "un responsabile pubblico non deve illudersi di poter escludere in assoluto il sacrificio di vittime innocenti", nemmeno quando la vittima innocente e' lui e non qualche poveraccio dall'altro capo del mondo.
Seguendo il tuo ragionamento dobbiamo concludere che le botte e il sacrificio umano fanno parte del mestiere di statista, e un setto nasale fratturato per mestiere non deve commuoverci piu' di quello che si rompono i pugili nell'esercizio della loro professione. Sono cose che si mettono in conto per la "relativita' morale" della politica e non ci illudiamo di poterle escludere in assoluto. Giusto Adriano?
E allora se tutto questo sangue alla fine fa parte del gioco della politica non e' il caso di farci attorno troppa cagnara, e possiamo derubricare l'episodio seguendo l'indicazione del mio amico del movimento nonviolento che ha partecipato al dibattito: "Un uomo di mezza età, con disagio psichico, aggredisce un anziano con disturbo della personalità. Del fatto se ne occupa il servizio di igiene mentale del capoluogo lombardo". Fine della notizia.
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