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Edilizia

Cronache dal "Cantiere Felice"

Basta con gli stereotipi sull'edilizia italiana. La testimonianza di un manovale entusiasta del suo lavoro
27 luglio 2009 - Marco Vicari (Vignetta di MP)

Vignetta di MP

Io non mi lamento del lavoro al “Cantiere Felice”.
Anzitutto il caporale ci riempe sempre di complimenti. Tempo fa ci ha detto che siamo: “le stelle del suo suo firmamento”. Infatti, quando qualcuno di noi casca da un impalcatura, lui esprime sempre un desiderio. Quello di non finire in carcere.
Intendiamoci: non è che non ci sia sicurezza sulle nostre impalcature. Anzi. Siamo imbrigliati alle impalcature con materiali di ultima generazione. Tempo fa il caporale ci ha mostrato una rivista dove quel filo era raccomandato dalla associazione dentisti italiani.
Poi il lavoro è veramente stimolante: dobbiamo ristrutturare un vecchio edificio. Lo stimolo consiste nel fatto che dobbiamo ristrutturarlo, prima che ci crolli addosso.
Al “cantiere felice” sono preoccupati per la nostra formazione professionale: per questo ci fanno imparare le lingue. Infatti i caporali sono poliglotti e quando dicono qualcosa la traducono sempre. Noi italiani abbiamo imparato le parole: “idiota” in marocchino, “cretino” in cinese, “stronzo” in bulgaro e “somaro” in albanese. Gli stranieri, invece, ora sanno dire perfettamente in italiano: “Mi scusi mio padrone”, “Agli ordini” e “Non voglio esser pagato subito, non c’è assolutamente fretta”.
Al “Cantiere Felice” una volta ci hanno portato anche al corso antiinfortunio. Era organizzato in un grosso tendone, dove 5 o 6 uomini con una tuta argentata volteggiavano in alto, attaccandosi a un trapezio. “Vedete, loro non cadono mai!” ci disse il caporale. Nonostante le prime reazioni scettiche, la cosa ci fece ben sperare. Infatti speravamo che da quel momento in poi, anche noi al cantiere avremmo avuto una rete di protezione come quella degli uomini con la tuta argentata.
In effetti al cantiere ci diedero qualcosa di simile ma non la rete.
Ci diedero il trapezio per spostarci da un impalcatura a un'altra. La cosa bella, adesso, e’ che quando lavoriamo viene il pubblico a vederci. La cosa brutta è che il caporale si tiene i soldi dei biglietti.
Al “Cantiere Felice” si preoccupano veramente dei propri dipendenti. Ho conosciuto gente triste che la mattina deve prendere la macchina, guidare e andare da sola al lavoro. Noi no; al “Cantiere Felice” ci porta il caporale. Arriva in mattinata nel piazzale e ci porta sulla navetta. E’ la sua macchina: una vecchia Tipo. La chiamiamo navetta non solo perchè ci porta al lavoro ma perchè lui la considera come la sua piccola nave. Infatti l’ha chiamata “Amistad” e, quando accidentalmente si ferma, siamo noi a farla muovere, sotto le sue frustate.
Per quanto riguarda poi il fattore sociale la compagnia c’è sempre. Il caporale dentro la Tipo ci carica in otto. A chi è più fortunato tocca il posto panoramico. A me è toccato più di una volta. Dovreste vedere com’è bella la città al mattino, vista dall’alto del tetto di una Tipo.

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