Niente panico: picchiate uno zingaro e godetevi il relax
Secondo l'Istat "la produzione industriale nel primo trimestre 2009 ha perso il 9,8% rispetto al trimestre precedente" ed "è calata del 23 per cento rispetto al marzo 2008". In Italia, cioè, nel giro di un anno abbiamo prodotto un quarto di cose in meno. Meno prodotti, meno fabbriche, meno soldi che girano, meno tutto.
Questo è quel che succede fuori dal mondo ovattato della tv. Un italiano su due sta già subendo personalmente la crisi, e la tendenza è a peggiorare. La soglia di povertà sfiora sempre più gente (in Sicilia almeno un terzo) e se fossimo nell'Ottocento le strade sarebbero già chiuse dalle barricate.
E come mai non ci sono? Primo, perché tecnicamente obsolete: è molto più semplice, in una società post-novecento, fare le barricate politiche e non reali (in America, per esempio, eleggendo Obama). E secondo perché, come già fecero i nazisti con gli ebrei, i politici hanno provveduto per tempo a trovare un buon capro espiatorio su cui scaricare tutte le paure.
Linciare uno zingaro (cosa che ormai accade abbastanza spesso) è più facile che prendersela coi manager. Picchiare a freddo una marocchina rimuove un attimo l'impotenza della disoccupazione. Annegare degli emigranti, o riconsegnarli al loro dittatore, dà un senso di potenza collettivo che a un popolo non più bonario né giovane fa più o meno l'effetto di un viagra.
La responsabilità della stampa "mainstream" (per dirla in americano: noi paesanamente diremmo "padronale") in tutto questo è tremenda, ancora più terribile che nell'edulcorare i politici e nel nascondere i fatti. La comunicazione, con poche eccezioni, oggi è di nuovo Goebbels. Se non si vede subito è perché la misuriamo col Goebbels di allora e non con quel che Goebbels sarebbe con le tecnologie di oggi.
Ma la funzione è identica, e identico tende a esserne il costo in vite umane. Il mestiere di giornalista, che prima richiedeva serietà e coraggio, adesso - per chi non tradisce - richiede una tensione quasi religiosa.
Di buoni giornalisti ce ne sono tuttavia ancora, e molti altri ne crescono dopo di loro. Dei giovani, penso a Claudia e agli altri ragazzi di Catania che, fregandosene di tutti quanti, hanno salvato due poveri zingari dal linciaggio. Dei vecchi, penso a gente come Pino di Telejato - ne abbiamo parlato l'altra volta - che a sessant'anni ancora riesce non solo a rischiare la pelle ma anche a sorriderci su ironicamente.
Maniaci in particolare, a quanto pare, se l'è cavata ancora una volta. I giornalisti siciliani, o i loro legali tutori, che volevano fargli scontare la vita di collega libero, hanno dovuto (almeno per ora) far marcia indietro e contentarsi di guardarlo storto da lontano.
La cosa bellissima (pure le cose belle accadono, nonostante tutto) è che stavolta a difendere Maniaci non siamo stati i soliti quattro disperati, ma il Sindacato e l'Ordine in persona, quelli veri. Si sono schierati, per una volta, senza se e senza ma con Maniaci. Hanno difeso il giornalista minacciato e onesto, senza mezze misure. Hanno detto quel che di loro pensavano ai colleghi siciliani (certo con diplomazia, ma non poi tanta) e li hanno obbligati a comportarsi, volenti o no, da persone per bene.
Mi pare quindi giusto di segnalare dei nomi: Enzo Iacopino dell'Ordine, Roberto Natale della Federazione e in aggiunta, unico fra i "politici", Beppe Giulietti. E' la prima volta, in quasi trent'anni di mestiere, che faccio nomi della corporazione per lodare e non per rimproverare. Sarà una debolezza senile, ma ne sono contento.
E altri giornalisti, e giornali? No, nomi di altri colleghi non ne posso fare. Sul caso Maniaci tutta la stampa italiana, compresa quella progressista, ha osservato un silenzio bronzeo, senza sbavature. "Giornalista in Sicilia? - hanno detto il Corriere e Repubblica - Nenti vitti. Nenti sacciu. Nenti vogghiu sapiri").
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