Waiting for Gaza /1
E' un diario di viaggio che sarà sempre attuale, anche se l'attualità va così veloce, in Palestina, che non si riesce a starle dietro nemmeno col pensiero. Sarà sempre attuale perché lo sono la memoria, il ricordo, la testimonianza.
Avremo modo di considerare come tutti i popoli oppressi, o che subiscono un evento fortemente traumatico nella loro storia (una shoah, una nakba), siano accomunati dalla necessità, dall'ossessione della testimonianza e della memoria.
Avrei scritto di questo e delle situazioni che la delegazione ha incontrato, più o meno cronologicamente. Tuttavia, poco prima che cominciassi a scrivere le prime righe di questo diario, accadeva un fatto che dirottava, per forza di cose, la direzione e la cronologia dello scritto.
E' il 7 maggio 2009; è ora di cena, in Italia. La Palestina è lontana, e il Tg2, come già gli altri telegiornali, dedica ampio spazio alla visita del Papa Benedetto XVI in Terrasanta. Il pontefice sarà accompagnato da misure di sicurezza straordinarie, sebbene non vi siano minacce specifiche.
Pochi giorni fa, il responsabile delle Relazioni esterne dell'Aida Camp di Betlemme (uno dei tre campi profughi della cittadina dl West Bank) ha raccontato al sottoscritto e alla delegazione umanitaria italiana in visita l'accoglienza che è stata preparata per il Papa.
Secondo l'idea (il sogno?) dei palestinesi, il Papa avrebbe dovuto accomodarsi su una piattaforma accanto al Muro della Separazione. Perché? Perché tutto il mondo potesse vederlo, il Muro, in tutta la sua portata mediatica. Soprattutto con il Papa accanto.
Non è difficile da capire: immaginatevi per un istante una bella ripresa in mondovisione con il Papa di bianco vestito, che pronuncia qualche scontata parola di pace, accanto al muro che divide i profughi dalle loro terre. E di lato, a sinistra del Papa, la porta del Campo di Aida, con un'enorme chiave su quello che dovrebbe essere lo stipite superiore. La chiave del ritorno, il simbolo dell'altro sogno - quello vero - dei profughi: tornare alle loro terre.
Il progetto di questa messa in scena mediatica, pur nella sua semplicità, unito al doppio regalo che verrà fatto al Pontefice da parte dei profughi (una chiave, appunto, e una roccia del lago Tiberiade con su incisa la mappa della Palestina), dimostra che i Palestinesi ne capiscono, di comunicazione.
A volerla vedere dal punto di vista di un copy non esisterebbe miglior immagine iconografica di quella appena descritta, per raccontare con due inquadrature la contenzione che subisce un campo profughi.
Ma il periodo ipotetico è d'obbligo. Perché anche gli Israeliani ne capiscono, di comunicazione. E la sanno usare. E riescono a usarla molto meglio, perché sono più potenti.
Da tempo l'autorità israeliana aveva comunicato la propria contrarietà al piano di accoglienza di Benedetto XVI proposto dai profughi dell'Aida Camp. Questi ultimi avevano comunque continuato i lavori di costruzione della piattaforma a ridosso del Muro.
Poi l'epilogo. Il Tg2 dà l'annuncio: di comune accordo è stato stabilito che il Pontefice si accomoderà accanto alla scuola dell'Aida Camp, in un campetto sportivo, verosimilmente. Col Muro a pochi metri, ma non visibi
E così, il sogno di comunicazione mediatica dei profughi di Aida, crolla sotto i colpi della potenza di fuoco dell'autorità israeliana che può non solo impedire che l'accoglienza si svolga come desiderato dagli ospiti, ma anche trasformare mediaticamente una decisione unilaterale in un comune accordo.
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