Benedetto, scendi dal balcone se hai coraggio! Vai in trincea!
La satira e' una cosa da prendere sul serio, come la religione. E' per questo che a Pasqua non vogliamo sfottere il papa, le vie crucis piena di vip e lo sfarzo di una chiesa che ricorda in mezzo agli ori un povero cristo morto senza un quattrino e ucciso dalla religione del suo tempo. Troppo facile, cosi' sono bravi tutti.
A noi piace il gioco duro e la competizione leale, e per questa ragione vogliamo innalzare fino al cielo la nostra impietosa lente di ingrandimento sulla chiesa cattolica. Lo faremo ricordando chi ha preso Dio talmente sul serio da lasciarci le penne. Come Pierre Claverie, vescovo di Orano, in Algeria, che scriveva parole bellissime quaranta giorni prima di essere assassinato. Le affidiamo ai lettori per stamparle nelle parrocchie coprendo i volantini di Radio Maria, i manifesti mercenari dell'ottopermille e le locandine farisaiche di Avvenire. Se non vi farete sentire, poi non lamentatevi se quelli fanno santo il fondatore dell'Opus Dei e se ne fregano di chi muore in croce nell'Africa dimenticata.
Di fronte a questa testimonianza ognuno potra' fare le sue valutazioni su chi resta tranquillo a dispensare ordini ecclesiali dal balcone come faceva un qualunque re del medioevo. Benedetto, non ascoltare noi che siamo dei mangiapreti, ma almeno ascolta i tuoi vescovi morti ammazzati, e ricordati che "la chiesa inganna se stessa e il mondo quando si pone come potenza in mezzo alle altre, come un'organizzazione, seppur umanitaria, o come un movimento evangelico spettacolare".
Di Monsignor Pierre Claverie.
(Dall'omelia pronunciata quaranta giorni prima del suo assassinio)
Siamo là a causa di questo Messia crocifisso. A causa di nient'altro e di nessun altro. Non abbiamo interessi da salvaguardare, né influenze da conservare. Non siamo neanche spinti da chissà quale perversione masochista o suicida. Non abbiamo alcun potere: restiamo in Algeria come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, rinfrescandogli la fronte. A causa di Gesù, perché è lui che soffre, in questa violenza che non risparmia nessuno, nuovamente crocifisso nella carne di migliaia di innocenti. Come Maria, come Giovanni, stiamo là, ai piedi della croce su cui Gesù muore, abbandonato dai suoi, schernito dalla folla. Non è forse essenziale per un cristiano essere là, nei luoghi di sofferenza, di abbandono? Dove potrebbe mai essere la chiesa di Gesù Cristo se non fosse innanzitutto là? Per quanta possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità della chiesa proviene da lì. Non da altrove né altrimenti. Tutto il resto è solo fumo negli occhi, illusione mondana. La chiesa inganna se stessa e il mondo quando si pone come potenza in mezzo alle altre, come un'organizzazione, seppur umanitaria, o come un movimento evangelico spettacolare. Può brillare, ma non bruciare dell'amore di Dio, "forte come la morte" (Ct 8,6). Si tratta infatti proprio di amore, innanzitutto di amore e solo di amore. Una passione di cui Gesù ci ha donato il gusto e tracciato il cammino: "Non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13)".
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